Aprile 25, 2024

La vita in Carcere

By on Novembre 18, 2017 0 12163 Views

Le carceri istituite nel 1876 e chiuse definitivamente nel 1952, suscitarono incubo e terrore in alcuni, amore in altri carcerati. Terrore perché risulta venissero utilizzati dei mezzi di punizione barbarici. Ancora oggi i documenti attestano la presenza della Cella Oscura, una stanza priva di luce e aria dove il detenuto sostava legato da ferri e camicie di forza.

Si nutriva solamente di acqua e pane. Ancora più temibile doveva essere la Cella di Isolamento. Sei mesi lunghissimi, che il carcerato avrebbe trascorso in solitudine. Spesso questo genere di punizione portava o alla pazzia o suicidio. Se si sopravviveva alle punizioni, altro pericolo era rappresentato dalla malaria. Il contagio era un rischio concreto, e non pochi furono i carcerati che trovarono la morte a causa delle febbri malariche. Ma i detenuti più mansueti avevano la possibilità di scontare la propria pena all’aria aperta, coltivando i campi, o pascolando le greggi. La sveglia era fissata tra i mesi di Dicembre e Gennaio alle sei del mattino, mentre per i mesi di Luglio e Agosto suonava intorno alle 4 e mezza. Il lavoro si fermava per il pranzo, che si svolgeva tra le 12 e le 13 e proseguiva fino alle 17. Alle 18.30 i secondini eseguivano la conta dei detenuti e successivamente chiudevano i dormitori. Nei mesi invernali il silenzio assoluto era imposto alle 19 mentre nel periodo estivo lo si imponeva per le 21.

Una detenzione insolita dunque, che dava possibilità ai forzati di trascorrere il proprio tempo all’aria aperta, oltre al vantaggio da non sottovalutare di percepire uno stipendio a retribuzione del proprio lavoro. I salari più bassi erano quelli dei vendemmiatori e spargitori di concime e si concretizzava in 0,65 lire a giornata, mentre i più alti erano quelli dei capi innestatori e dei pastori che percepivano a giornata 1,30 lire. Le coltivazioni più diffuse erano quelle di cereali, legumi, vigneti, ortaggi e frutteti, e nel 1903 venne attivato un allevamento di vacche da latte, che visti gli interessanti risultati indusse dopo qualche anno i gestori del carcere, ad attivare un caseificio che prese a trasformare il latte in pregiato formaggio e burro. Nel 1908 si dispose l’inizio di una selezione genetica del bestiame, e vennero inaugurati numerosi incroci fra le piccole vacche sarde e i tori di razza modicana.

I fitti boschi vennero in parte sfoltiti ed utilizzati per la produzione di carbone. Si conta che nel 1918, la produzione di carbone fosse arrivata ai 1600 quintali e che negli anni successivi questa soglia sarebbe stata superata. Una economia quella del carcere che procedeva a vele spiegate, visto lo sfruttamento dei detenuti.

L’abbigliamento dei condannati era semplice. Indossavano una giubba rossa, un cappuccio di tela rigata di bianco e blu, e quando lavoravano mettevano i guanti solamente al pollice. Inizialmente il cappuccio era simile a quello dei confratelli della misericordia. Al posto dei due fori dinanzi agli occhi, si trovava una fitta rete metallica. Anche le guardie portavano guanti e cappuccio, ma di tela bianca, probabilmente per essere distinti dai carcerati.

Claudia Zedda

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